martedì 12 ottobre 2010

"A casa del diavolo" - Racconto di Oliviero Canetti

È con piacere e orgoglio che pubblichiamo un racconto inviatoci dal nostro collaboratore, l'ottimo professore Oliviero Canetti, a cui vanno tutti i nostri più diabolici complimenti.


Ed eccoci qui, tutti insieme e zitti, a casa del diavolo.

Di giorno bisogna stare attenti, perché di giorno il diavolo è sveglio. Lo sentiamo girare per le stanze, con quel suo passo lento e cadenzato, l'incedere del diavolo. Lo sentiamo sgranocchiare in cucina il suo magro pasto, ossicini di bambini e patate al forno, la cena del diavolo. O in biblioteca, alla luce dei santelmi, stropicciare carte antiche e polverose, le pergamene del diavolo.

Non si può far rumore, in queste lunghe ore. È cattivo, il diavolo, sapete, e se ci piglia ci mette nel forno. E noi stiamo lì, rincantucciati tra le gambe dei mobili, sotto gli armadi e sotto i letti, a spiare, tutti insieme e zitti, i piedi del diavolo. Zoccoli caprini in vecchie pantofole di feltro, i piedi del diavolo, che van su e giù per le vaste stanze, sul marmo e sui tappeti, su e giù nel lento volgere del giorno. In silenzio, udiamo l'ansito ruvido del suo respiro, il respiro del diavolo, che sa un po' di zolfo.
Lento cala il tramonto sulla casa del diavolo, e non si può far nulla. Solo starcene tutti insieme e zitti, in timoroso e reverenziale silenzio. Ma ci riscuotono nell'imbrunire i suoi sbadigli, gli sbadigli del diavolo, prolungati e intenti. Allora ci diamo l'un l'altro di gomito. Ecco, ci siamo. E quando il diavolo va al letto e la notte scende sulla sua grande casa, è il nostro momento.
Ed eccoci venir fuori dai pertugi tra le gambe dei mobili, da sotto gli armadi e sotto i letti, ed eccoci camminare in fila indiana e quatti, lungo le pareti, per incontrarci infine, tutti insieme e zitti, nel salone del diavolo. Su una parete è appeso il ritratto del diavolo, incorniciato d'argento, e dal ritratto, il diavolo ti scruta accigliato. Sguardo di diavolo hanno gli occhi del diavolo. Ma per il resto c'è un silenzio tranquillo e profondo. Adesso il diavolo dorme e, quando il diavolo dorme, noi possiamo girare e giocare per la sua grande casa.
Tutti insieme e zitti, a casa del diavolo.
Ci guardiamo l'un l'altro e ci scambiamo risatine furtive. Questa è la casa del diavolo: ne conosciamo ogni angolo, ogni cantuccio, ogni nascondiglio. Sono solo poche stanze, poche vaste ombrose silenziose stanze. Quante ne bastano al diavolo, che è un tipo di poche pretese, ma noi le esploriamo ogni volta con un misto di timore e meraviglia.
Per prima cosa avanziamo lungo il corridoio e ci affacciamo cauti in camera, la camera del diavolo. La camera è buia e nel buio il diavolo dorme. Profondo è il sonno del diavolo e sogna sogni di diavolo. Un russare lento e profondo, il russare del diavolo. Finché si ode il diavolo russare vuol dire che il diavolo dorme. E finché il diavolo dorme noi siamo al sicuro.
Zitti zitti ce ne andiamo in cucina. Ed eccoci nella cucina del diavolo. In alto ci sono le credenze, le credenze del diavolo, ed è lì che il diavolo tiene la farina, la farina del diavolo, che va tutta in crusca. Il fuoco è acceso e sul fuoco la pentola bolle, la pentola del diavolo. La fissiamo da lontano, affacciati alla porta, timorosi di avvicinarci. Nera e maligna è la pentola del diavolo. Non c'è il coperchio e gorgoglia con minacciosa indolenza. Domani la rubiamo, diciamo ogni volta, ma poi ci manca il coraggio. C'è qualcosa di sinistro nella pentola del diavolo. Cuoce il pasto del diavolo.
E ora andiamo a vedere il gatto del diavolo. Ha il pelo rosso come la ruggine, il gatto del diavolo, e dorme acciambellato nel cesto. Zitti zitti facciamo per avvicinarci, ma il gatto del diavolo apre un occhio e tira fuori le unghiette. Non vuole coccole, lui, non vuole carezze: è il gatto del diavolo. Ci spia dal cesto con infida malevolenza. Noi ce ne andiamo e il gatto del diavolo richiude il suo occhio e si rimette a ronfare.

Per un po' non sappiamo cosa fare, poi decidiamo di andare a rovistare nell'armadio del diavolo. Pesante e di mogano è l'armadio del diavolo. Ne apriamo le ante con cautela, perché cigolano e scricchiolano. Abbiamo sempre paura che il diavolo si svegli e, se si sveglia, il diavolo ci acchiappa e ci mette nel forno. Ma il russare del diavolo riempie la casa e finché si ode il diavolo russare vuol dire che noi possiamo stare tranquilli.
Nell'armadio del diavolo ci sono i suoi vestiti: la camicia, i pantaloni, il gilet, il soprabito, le scarpe, le ghette, la bombetta, tutti i vestiti del diavolo. Li tiriamo giù dalle stampelle, li indossiamo e sfiliamo per il corridoio imitando le mosse e le smorfie del diavolo, ci guardiamo l'un l'altro e ridiamo strizzando le guance. È così buffo, il diavolo! Ma si sente elegante e raffinato, il diavolo, e cammina tutto impettito, con fare lugubre e diavolesco. Ecco questi sono i suoi vestiti, i vestiti del diavolo, e questo è il suo stile, lo stile del diavolo.
Nell'ultimo ripiano dell'armadio c'è una scatola di cartone. Dentro che cosa ci sarà? La scatola è in alto e per un po' rimaniamo lì sotto incerti, incerti se aprirla e spiare i segreti del diavolo, o lasciare al diavolo i suoi segreti. Presa la nostra decisione, andiamo a cercare una sedia. Infine prendiamo lo scranno del diavolo, lo scranno che si trova nel grande salone del diavolo, proprio sotto il ritratto del diavolo, il maestoso scranno su cui, nei lunghi pomeriggi invernali, il diavolo intreccia le sue oscure e profonde meditazioni, le meditazioni del diavolo, il pugno sotto il mento e i piedi allungati verso il camino. È di legno pesante, lo scranno del diavolo, con lo schienale imbottito e i piedi lavorati. Faticosamente lo trasportiamo sotto l'armadio e arrampicandoci sull'alta spalliera arriviamo finalmente alla scatola.

In un attimo la scatola è a terra e noi siamo tutti intorno, impazienti di aprirla, di vedere che cosa c'è dentro! Su cosa aspettiamo? La apriamo.
Vecchie fotografie tenute con grossi elastici, istantanee ingiallite e ritratti sfocati. Le fotografie del diavolo, i ricordi del diavolo, le nostalgie del diavolo. Ecco, questo è il diavolo con i colleghi in ufficio. E qui il diavolo durante la settimana bianca, con il passamontagna e gli sci in spalla. Questi sono i nonni del diavolo, questi sono i fratelli e questi saranno forse dei parenti lontani. E questo è il diavolo al primo giorno di scuola: rosso è il grembiulino del diavolo, rosso il fiocco del diavolo. E guardate qui, che buffo, questo è il diavolo quand'era un bebè. Sta bocconi sul cuscino, un sorrisetto sdentato, col culetto in aria e la codina dritta!

Ci fanno ridere, le fotografie del diavolo, e anche un po' ci inteneriscono. Le rimettiamo a posto. La prudenza non è mai troppa a casa del diavolo.

E poi andiamo in biblioteca. È antiquata e austera, la biblioteca del diavolo. Ragnatele e silenzio. Antichi e polverosi sono i libri del diavolo e raccontano cose di diavoli. Talvolta li tiriamo giù e li sfogliamo. Ci sono tante parole misteriose, nei libri del diavolo, pentacoli e formule magiche, e le pagine scricchiolano quando le voltiamo. Stiamo lì per ore e fingiamo di leggerli, i libri del diavolo, e mentre fingiamo di leggerli, imitiamo il diavolo che strabuzza gli occhi, vergando annotazioni sui bordi delle pagine, nella sua grafia minuta e angolosa. Una volta per scherzo glieli abbiamo scarabocchiati, poi il diavolo si è arrabbiato e si è messo a gridare con voce di diavolo, e ha detto che se ci prende ci mette nel forno.
In fondo alla biblioteca, su un supporto, sta un bellissimo violino. È il violino del diavolo. La luce scivola sulla cassa di legno in mille riflessi. È strana e misteriosa, la musica del diavolo, e quando il diavolo suona e l'archetto corre sulle corde, tutta la casa si riempie di note trillanti, gli scheletri ballano e noi facciamo capolino dai nascondigli e battiamo il tempo con le mani. Ci piace, la musica del diavolo. Il suo violino lo ammiriamo da lontano e non osiamo toccarlo. È sacro il violino del diavolo, perché suona la musica del diavolo.

Sul tavolino c'è una brocca di cristallo. I cioccolatini del diavolo. Sono al latte, al cacao, alla nocciola, alla vaniglia. Su, serviamoci! Saltiamo sul tavolino e diamo inizio alla scorpacciata. Ci sporchiamo di cioccolato e avidamente ci lecchiamo le dita, prima di pulirle sdegnosi sulla tovaglia in tela d'Olanda. Mentre scherziamo e ridiamo, e ridiamo e ci spintoniamo scherzando, qualcuno urta la brocca di cristallo, la brocca di cristallo del diavolo. La brocca rotola sul tavolino, rotola e rotola, e noi non riusciamo ad acchiapparla, non riusciamo ad acchiapparla e la brocca di cristallo rotola e rotola, e cade in terra. Uno schianto.
Ci blocchiamo.

Un istante.
Un solo... lunghissimo... istante.
Un ululato si accende attraverso le stanze.
...L'ululato del diavolo!
Noi ci guardiamo l'un l'altro e cominciamo a tremare.
Passi nel corridoio.
...I passi del diavolo!
La porta si spalanca.

È il diavolo!

Rosso è il pigiama del diavolo, rossa la vestaglia del diavolo, rosse le calze del diavolo.
Il diavolo si erge su di noi, spalanca le ali, le corna si rizzano sprizzando scintille.
Adesso vi piglio e vi metto nel fornoooooo...

Cerca di agguantarci, il diavolo. Ma noi siamo più piccoli e più svelti. Scappiamo intorno al tavolo, imbocchiamo la porta e via per le stanze! Il diavolo ci insegue, furioso. Ci sparpagliamo nei corridoi, nei saloni e nelle camere. Il diavolo si protende cercando di agguantarci. Sono lunghe le braccia del diavolo, scheletriche le dita del diavolo, nere le unghie del diavolo. Noi gli sgusciamo tra le grinfie ed uno ad uno ci tuffiamo tra le gambe dei mobili, sotto gli armadi e sotto i letti. Allora il diavolo dà di piglio alla scopa e comincia a sbatterla tra le gambe dei mobili, sotto gli armadi e sotto i letti.

Tenta di stanarci, ma noi ci rincantucciamo più in fondo che possiamo. È casa nostra, qui sotto, qui sotto siamo al sicuro. Tra le gambe dei mobili, sotto gli armadi e sotto i letti. Urla e minaccia, il diavolo, lancia maledizioni, il diavolo, ma non può farci nulla. E se ne va via furioso e scornato.
Noi rimaniamo rintanati, immobili e zitti, senza muoverci e senza fiatare. Cerchiamo persino di non respirare... Ma usciremo di nuovo. Forse domani sera, forse la sera dopo. Usciremo dai pertugi tra le gambe dei mobili, da sotto gli armadi e da sotto i letti, e quindi ricominceremo a girare e giocare per questa grande casa, per la casa del diavolo.
La prossima volta, ci diciamo dandoci di gomito, gli tireremo un bello scherzetto, al diavolo. Gli ruberemo la pentola.

Sì, la pentola del diavolo!
Oliviero Canetti

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