venerdì 30 dicembre 2011

Riflessioni di fine anno

Qual è il confine tra l’onestà e la disonestà?
Facile essere onesti quando tutto va bene, quando gli intoppi nella tua vita sono le solite cazzate, cose all’ordine del giorno.
Ma non sempre va così.
Per colpa tua, sia chiaro.
Con un minimo di buon senso, con un po’ di accortezza e, magari, con l’aiuto della dea bendata si potrebbero minimizzare i danni.
Ma non ci sei riuscito.
Ti ritrovi con una lista di debiti che compete in lunghezza con quella delle belle di Don Giovanni, allora cosa fai?
Sai che non puoi risolvere quel debito. A meno che tu non debba rinunciare al cellulare all’ultimo grido, alla tua auto per cui hai appena cominciato a pagare le rate, ma anche alle rette e ai libri che servono ai tuoi figli per andare a scuola (merda, quanto costano quelle!), al tuo nuovo tenore di vita, visto che sei separato, ci mancherebbe, chi riesce a stare con la stessa donna così a lungo?
E poi la vita dura poco.
Come si fa a sacrificarsi tanto?
Specie oggi che le pensioni le hanno messe da schifo, quando sei in area prenotazione bara.
E allora magari, anche se non vorresti, ti fai invischiare in un qualcosa più grosso di te, e lì perdi il senso di tutto.
Ti ripeti, ogni altro minuto, che lo stai facendo per i tuoi figli. Finisci per crederci.
Non sei cattivo, solo una persona spaventata.
Ma nessuno ti ha capito, quando ti hanno sbattuto in galera, negandoti anche di poter vedere i tuoi figli.
L’ha avuta vinta il pregiudizio di chi non sa e non vuole vedere la tua disperazione.
E, nella cella, ti chiedi dove hai sbagliato.
Incredibile come la risposta sia ovvia, scontata, a portata di mano.
Hai sbagliato nel non pensare prima di agire. Hai sbagliato nel non considerare le conseguenze. Hai sbagliato perché ci sono sempre altre strade per uscire dai tranelli della vita, spesso più faticose, ma anche capaci di farti sentire migliore, proprio per tutti i sacrifici che ti sono costati percorrerle.
Tu non le hai volute seguire.
Chi ti guarda da fuori ti ritiene un criminale. Ha etichettato la porta della tua cella, non ti dà nessuna chance
Se potesse dartela, vedrebbe un uomo pentito, un bambino che si è lasciato intrappolare da chi era più furbo e malevolo di lui, un qualcuno che da molto tempo aveva perso la luce dell’infanzia dallo sguardo.
E, forse, potrebbe perdonarti.
Augurarti buon anno non ha senso, visto che ne passerai cinque in galera, ma pensa a tutti quelli che non si sono mai trovati lì, al confine tra male e bene. A quelli che non sanno come possa essere facile scivolare, sbucciarsi le ginocchia e compiangili, dalla tua cella.
Quando uscirai, tu sarai un uomo nuovo, loro resteranno sempre in bilico tra quel confine diafano che a malapena distingue onestà e disonestà.

venerdì 24 giugno 2011

Agenzia Senzatempo - Viaggio irreale nella Scandinavia vichinga

Siamo felici di annunciare l'uscita del nostro terzo viaggio irreale nella mitologia, sperando che non sia anche l'ultimo...
Almeno in cartaceo e almeno per ora.
Tutto dipende da quanto venderemo, ahimè!
Quindi, rimboccatevi le mani e fate un po' di pubblicità, caspita!

Agenzia Senzatempo - Viaggio irreale nella Scandinavia vichinga si svolge nella fredda, gelida, Scandinavia medievale. Be', solo in parte, visto che Virgilio Senzatempo riuscirà a condurre la sua carrozza lungo il Ponte Arcobaleno, fino ai tetti dorati di Ásgarðr, dove i nostri impavidi viaggiatori vivranno avventure mozzafiato.




Come di consueto, una ricostruzione attenta e filologica del mito, ma soprattutto un romanzo di ampio respiro, ricco di colpi di scena.
Tra i protagonisti, anche Snorri Sturluson, autore dell'Edda e personaggio di particolare spicco nella Scandinavia medievale, anche se non sempre (anzi, quasi mai), per motivi eclatanti.
La profezia di una veggente, prima del viaggio, offrirà lo spunto per il susseguirsi degli eventi, a volte felici, altre molto meno, che condurranno i nostri verso una vera e propria corsa contro il destino e la sua apoteosi nel Ragnarök.
Rompini, in gran forma, interverrà di nuovo a modificare il corso della storia, dando consigli idioti a Snorri e trovandosi impelagato in una situazione senza speranza.
Latinis, tormentato dall'incubo della veggente, dalla faciloneria del signor Senzatempo e dalle minacce del dio Thor, suderà freddo fino all'ultimo.
Pur trovandosi a rischiare più degli altri, Sofia sarà la sola che...
No, se vi dico anche questo, poi non leggete più.

Un romanzo imperdibile, sia per gli appassionati, sia per chi non conosce affatto la materia.
Che aspettate?
Attendiamo un vostro spassionato parere!


Sul sito Bifröst, una dettagliata presentazione del libro e la possibilità di acquistarlo con il 20% di sconto.

lunedì 13 giugno 2011

Abbiamo sudato freddo, ma ce l'abbiamo fatta!


Momenti da cardiopalma. I tifosi sono abituati a cose simili, io assai meno. L'ultima volta che ho messo piede in uno stadio è stato almeno un secolo fa.
Le percentuali di votanti che salivano e poi il trionfo pieno lunedì.
Grazie, italiani. Grazie anche se avete votato contro Berlusconi solo per via della sua non limpida condotta morale.
Grazie lo stesso.
Ah, scusate... Molti non si sono accorti che questo era un referendum politico...
Ma come? Davvero?
Diciamola tutta: i quattro i quesiti del referendum andavano contro le idee, se così possiamo definirle, di Berlusconi.
E' ancora presidente del Consiglio o mi sono persa qualcosa?
Se è ancora presidente del Consiglio, va da sé che questo era un referendum politico.
Oppure qualcuno mi spieghi cosa si intende per "politica", come alternativa alla definizione del vocabolario: "Politica, teoria e pratica che hanno per oggetto l'organizzazione e il governo dello stato, insieme dei fini a cui tende uno stato e dei mezzi impiegati per raggiungerli".
Mi sembra chiaro, no?
Berlusconi diceva - per poi rimangiarsi tutto a esito finale del referendum - che in Italia va messo il nucleare. E questa è una scelta politica.
Diceva che l'acqua doveva essere privatizzata - in questo molto coerente, visto che da 17 anni ha privatizzato l'informazione.
E anche, ma è proprio qui che trema, che un parlamentare non può subire regolare processo, visto che è più uguale degli altri cittadini.

E' vero, questa non è politica. Questa è strumentalizzazione della politica.

Ma concediamoci una domanda: Cosa farà adesso, il buffone?


Lascio a chi vorrà intervenire la scelta di una risposta.
Propongo alcune possibilità:
1) Molto dignitosamente, si dimetterà e troverà rifugio in uno dei tanti paradisi fiscali in cui ha delle proprietà. Credo cha a Hammamet ci sia una casa libera e anche che da quelle parti siano accondiscendenti con chi invita minorenni a party di Bunga Bunga.
2) Tornerà alla carica assecondando le decisioni del referendum e farà sì che i suoi curatori di immagine lo rilancino e ripropongano come modello, così alla fine resterà col culo piantato dove ce l'ha. (Ecco, se ci riesce, mi trasferisco io, in un altro paese).
3) Si presenterà al processo e verrò rinchiuso, come è giusto che sia, in galera.

Lascio a voi dare risposte più intelligenti.

Solo due cose.
1) Che Berlusconi vada o meno in galera non mi interessa più. Ormai mi ha talmente stufato, che il solo sogno è vederlo fuori dalle palle, lui e le sue reti Fininvest che hanno inquinato la nostra salute ancor peggio di quanto avrebbero potuto fare le centrali nucleari.
2) i miei figli, ancora non in età per votare, hanno seguito gli esiti del referendum con ansia e estrema partecipazione, per poi esultare al sacrosanto finale.
C'è ancora speranza, intendo...

Grazie ancora!!!

venerdì 4 marzo 2011

Omaggio a Poul Anderson (1926 - 2001)


Articolo scritto il 15 agosto 2001, in occasione della scomparsa di Poul Anderson, scrittore da me particolarmente apprezzato e amato.

Amici, e anche Poul ci ha lasciato.

Perdonate lo sfogo, ma chi mi conosce sa quanto hanno significato per me i suoi libri. Anch'io non mi rendo bene conto di quanto profonda sia stata la sua influenza sulla mia formazione, sulle mie idee e sulle mie scelte. Guardando dentro di me, agli interessi che ho coltivato dai tempi dell'adolescenza, trovo quasi dovunque la sua impronta. Non è esagerato definire Poul Anderson uno dei miei padri spirituali, come lo è stato senza alcun dubbio per migliaia di altri lettori e scrittori.

Nel dicembre 2000, riuscii a spedirgli una lettera di ammirazione e riconoscenza e Poul fu tanto gentile da rispondermi. Poteva essere l'inizio di una bella corrispondenza, ma ahimé, Poul si è spento il 31 luglio 2001 nella sua casa a Orinda, in California. Mi aveva accennato a qualche problema di salute, ma non avrei mai immaginato che si trattasse di un cancro. E dunque ci sono rimasto davvero male quando, l'altra settimana, ho ricevuto quasi per caso l'annuncio della sua morte. Mi è rimasto il cruccio di non averlo potuto conoscere meglio, o magari (segreta speranza) di persona.

Americano di origini danesi, Poul Anderson è stato sicuramente uno dei maggiori autori di fantascienza e fantasy, certo uno di quelli più amati. Dalla fine degli anni '40 ad oggi ha scritto decine di romanzi e centinaia di racconti, tutti di ottima qualità. A scorrerli con la memoria non ricordo nemmeno un titolo che mi abbia deluso. Questa è un'ottima cosa, perché col passar del tempo molti altri scrittori di SF, anche più quotati di Poul Anderson, non hanno potuto evitare di trasformarsi in sterili epigoni di loro stessi. Non Poul. Lo scorrere del tempo non è riuscito a scalfire la qualità delle sue opere: con gli anni la sua letteratura è maturata e la sua capacità di estrapolazione ha mostrato di sapersi tenere al passo con i tempi. E sempre mantenendo lo stile e la personalità che lo rendevano inconfondibile. Poul non si è mai "svenduto". Non si può dire lo stesso, purtroppo, di tanti altri "mostri sacri" della fantascienza.

Ho letto i cicli della Lega Polesotecnica e di Dominic Flandry non so quante volte: divertenti e scintillanti in superficie, sconsolati e struggenti nell'intimo. Ma tutti i romanzi di Anderson erano così: solidi e profondi, ricchi di significato, con molti livelli di lettura, perfettamente in grado di resistere a ripetute letture. È impossibile citarli tutti, e nessuno è abbastanza banale da poter essere scartato senza rimpianti. Le gallerie del tempo, Quoziente 1000, Hanno distrutto la Terra, I nomadi dell'infinito, Le amazzoni, Il popolo del vento, Tempo verrà, Il vagabondo degli spazi, Il tempo del fuoco, La danzatrice di Atlantide, Tempesta di mezza estate, Operazione Caos, I guardiani del tempo, Cavaliere di spettri e d'ombre, Mondo rovente, Myrkheim, Cronache della Lega Polesotecnica, Orion risorgerà...

Ho voluto omaggiarlo rileggendomi Tau Zero (1970), perfetto esempio di come Poul Anderson riusciva a partire da premesse scientificamente ineccepibili per sviluppare trame di ardita profondità. Ed ecco la Leonore Christine, una nave stellare perfettamente plausibile, di quelle che oggi siamo abituati a vedere sui documentari televisivi. Dotata di un collettore Bussard, cattura nel corso del viaggio le particelle d'idrogeno presenti nello spazio e le usa come massa di reazione, accelerando fino a una buona percentuale della velocità della luce. Ma il genio di Poul sta nel partire da questo assunto e trascinarlo là fino alle sue più estreme conseguenze. Perché, per un guasto, la Leonore Christine non può fare a meno di accelerare sempre di più, portando la sua velocità a valori sempre più vicini a c. Così, quello che doveva essere un viaggio verso una vicina stella, si trasforma in una cavalcata attraverso distanze intergalattiche, e mentre spazi e tempi si dilatano esponenzialmente, i personaggi vengono trascinati (e con essi il lettore) dentro profondità inconcepibili. La visione che Anderson aveva della realtà era essenzialmente la stessa che potrebbe avere un fisico o un cosmologo, ma in più conteneva il guizzo della poesia. Nello sconsolato abisso di materia che è l'universo, è compito degli occhi umani scorgervi la scintilla della trascendenza.

Ma Anderson sapeva ottenere ottimi risultati anche nella narrativa breve. Non si possono non citare racconti come Regina dell'Aria e della Notte, dove uomini e astronavi si mescolano stupendamente con le brume di una terra fatata e dove la ricerca da parte di una donna del figlio rapito dalle fate rieccheggia i temi di un'antica ballata medievale. O come Epilogo (1962), descrizione di una Terra del lontanissimo futuro trasformata in una foresta di scintillante metallo, dove si aggirano robot ormai divenuti eredi dell'uomo. O la struggente Comunione della carne, forse il più bel racconto di fantascienza antropologica mai scritto, la vendetta di una donna per l'uccisione del marito che si arresta di fronte alla comprensione di un popolo condannato al cannibalismo per poter sopravvivere.

E potrei continuare a lungo, ricordando racconto dopo racconto, romanzo dopo romanzo, in una serie di trame e personaggi indimenticabili. Le storie di Anderson, per un motivo o per l'altro, meritano tutte di essere ricordate, anche quando si tratta (almeno all'apparenza) di romanzi di pura evasione. I suoi racconti meno riusciti rimangono un traguardo irraggiungibile per moltissimi altri autori!

Perché i libri di Poul Anderson sono affascinanti miscugli di scienza, tecnologia, poesia, filosofia, avventura, amore e passione, e lo stile è sempre lirico e vibrante. Se Anderson era spesso accumunato ai maestri della fantascienza hard come Isaac Asimov o Arthur Clarke, nondimeno aveva in più l'amore per i particolari e il tratto paesaggistico di un Jack Vance. Non ho mai visto la precisione del dato scientifico fondersi alle istanze umanistiche come in Poul. I mondi uscivano dalle sue pagine tangibili e perfetti: dai parametri astronomici allo stormire delle fronde, dalla composizione dell'atmosfera al profumo dei fiori, Anderson ci deliziava nel presentare dettagli, colori, profumi e sfumature che contribuivano a creare panorami straordinariamente vividi e reali. A chi gli chiedeva quale fosse il "segreto" della sua prosa, Poul rispondeva, con la consueta umiltà, che usava fare richiami in ogni descrizione ad almeno tre percezioni sensoriali. Ma questa era solo la parte tecnica. La verità è che Poul sapeva come fondere il substrato scientifico con un autentico afflato lirico. Nel breve saggio Un mondo chiamato Cleopatra, Poul spiega dettagliatamente agli aspiranti scrittori di fantascienza come costruire un mondo: i parametri orbitali, i dettagli fisici, la gravità, la composizione atmosferica. Ma a tutto questo egli univa una capacità davvero unica di integrare tutti i dati fisici e trasformarli in paesaggi e scenari meravigliosi, e questa era una dote che non poteva certo essere insegnata.

In più Poul Anderson aveva una rara capacità di ritrarre i sentimenti e le profondità dell'animo umano.

Gli eroi con la scintillante uniforme della Marina Terrestre nascondono dietro la loro facciata sgargiante psicologie umanissime. Dominic Flandry non è solo il baldo agente segreto che si muove ai confini dell'impero per contrastare i piani dei severi Merseiani, ma anche un uomo combattuto tra le istanze del dovere e le proprie passioni. E mentre la nave di Tau Zero vola attraverso tempi e spazi sempre più vasti, i suoi occupanti sono analizzati in tutte le loro meschinità e piccinerie. Ma quest'esame, invece di sminuirli, li fa risaltare prepotentemente nella loro umanità, sullo sfondo di un universo immenso e inconcepibile.

A differenza di molti altri scrittori di fantascienza, che bene o male si copiavano l'un con l'altro, Anderson attingeva alla grande letteratura, all'epica, al mito, di cui era un grande cultore. A chi gli chiese, un giorno, qual era la fantascienza che preferiva, egli rispose:

Io vorrei che ci fosse ancor più fantascienza tecnologica al livello di Hal Clement o Gregory Benford, semplicemente perché mi piace. Tuttavia esistono tante altre cose da leggere oltre la fantascienza. Buon Dio, in fondo io non ho ancora letto tutte le opere di Aristotele!

Era soprattutto questa comune passione per la mitologia a renderlo il mio autore preferito. Glielo avevo fatto notare, citando quegli spunti che mi sembravano più evidenti, e la risposta di Poul mi aveva riempito di orgoglio:

Oggigiorno non è molto comune, per uno scrittore, trovare qualcuno che ama e capisce la sua opera, e perciò un tale incontro è sempre benvenuto.

Poul Anderson era infatti imbevuto delle leggende del suo paese d'origine, la Danimarca. Nei suoi romanzi, sotto l'apparenza di navi spaziali ed alieni, si potevano scorgere navi vichinghe e gelidi elfi. Anderson si camuffava da scrittore di fantascienza, ma pensava in termini eddici. Lui stesso si definiva, con apparente modestia, "un cantastorie all'antica". In realtà era un autentico bardo.

Com'è noto, una piccola parte della sua produzione era fantasy. Si ha il sospetto che se il mercato glielo avesse permesso, Poul avrebbe scritto più romanzi fantasy che di fantascienza. A differenza di molti altri autori fantasy, Poul Anderson non si limitava a scopiazzare Tolkien, ma riandava direttamente alle saghe e ai miti scandinavi. Il suo La spada spezzata (1954), scritto contemporaneamente al Signore degli anelli, è un capolavoro senza mezzi termini: un intreccio formidabile di mitologia nordica e dramma elisabettiano, con un aperto simbolismo junghiano. Il successivo Tre cuori e tre leoni (1961), anch'esso un romanzo fondamentale della fantasy moderna, è diametralmente opposto al primo: spumeggiante, dolce e affascinante, mi fece fare la conoscenza con quello che è ormai il mio eroe carolingio preferito, Holger Danske, ovvero Uggeri il Danese. In seguito mi trovai, insieme a due amici folli, ad esplorare le segrete del castello di Krønborg, ad Helsingborg, alla ricerca della statua dell'eroe. Adesso la foto del Danese si trova incorniciata a una parete del mio studio.

Ma se nei romanzi fantasy il gioco "mitologico" di Poul era scoperto, nella fantascienza egli agiva in maniera più subdola. Quanti ignari lettori si sono immersi nelle cinquecento pagine di Orion risorgerà convinti di leggere un'epopea post-atomica, quando invece stavano leggendo un'ingegnosa riscrittura dell'Edda di Snorri? Tutti i personaggi del romanzo hanno una precisa controparte tra gli dèi nordici: le loro vicende corrispondono punto per punto a quelle del mito norreno, e il modo in cui s'incontrano e si scontrano, si amano e si uccidono, è la precisa rielaborazione delle azioni che condurranno gli dèi di Ásgarðr al Ragnarök, il crepuscolo degli dèi. Tra tutti i personaggi del romanzo, solo il bardo Plik sembra conscio di quanto sta accadendo. Ha la stessa funzione del Buffone del Re Lear. A un certo punto Plik fa un discorso e conclude melanconicamente: "Ci stiamo trasformando in archetipi". Era il programma letterario di Poul Anderson: Plik era solo una maschera dietro cui l'autore stesso faceva delle metaletteratura, parlando della sua opera.

E in quanti romanzi e racconti Poul ha fatto lo stesso gioco, mescolando la mitologia alla fantascienza, il medievale al futuribile? Regina dell'Aria e della Notte e, più tardi, I figli del tritone (ristampato con l'orribile titolo L'ultimo canto delle sirene), sono le rielaborazioni di due ballate medievali danesi. Cavaliere di spettri e d'ombre cita il Canto della schiera di Igor'. Orfeo secondo è una versione simbolista della nota leggenda greca, così come Scacchiera tra le stelle è una riscrittura di Alice attraverso lo specchio. Dominic Flandry ha molti punti in comune con l'eroe carolingio Guglielmo d'Orange e il mercante delle stelle Nicholas Van Rijn è un Falstaff in versione Lega Anseatica. La guerra degli dèi rielabora in forma di romanzo l'episodio dell'eroe Hadingus nel Gesta Danorum di Sassone Grammatico (ma con una decisa interpretazione duméziliana). Anche la Saga di Rolf Kraki attinge a Sassone, integrata per l'occasione con altro materiale norreno in modo da creare una vicenda unitaria. Tempesta di mezz'estate mescola con disinvoltura Shakespeare al tema delle ucronie. Stella del Mare (splendido!) riscrive in forma di racconto la Germania di Tacito, dando voce a uno dei personaggi più misteriosi dell'antichità: Veleda, la sacerdotessa che tentò di unire le tribù germaniche contro i Romani.

E si potrebbe andare avanti ancora a lungo!

Storici o di fantascienza, realistici o fantasy che fossero, però, i romanzi di Anderson tenevano sempre al centro l'Uomo, nella sua piena umanità fatta di coraggio e debolezza, di grandezza e meschineria. I temi prediletti di Poul, travestiti da letteratura di genere, erano i soliti temi universali: l'amore e la morte, il dovere e la passione, il sacrificio e il tradimento. Forse è questo che la critica non gli ha mai perdonato. Il secolo appena trascorso apprezzava sopra a ogni cosa la disperazione esistenziale; molti critici devono senz'altro aver guardato con un po' di spocchia a un autore che aveva il coraggio di trattare personaggi che erano eroici, sì, ma solo in quanto esseri umani, e che comunque poco avevano da spartire ai vari antieroi senza qualità che hanno caratterizzato buona parte della letteratura "colta" del Novecento.

Perché l'eroe di Anderson è tragico. Senza mezze misure. Ma il tipo di tragedia andersoniana va oltre quella tradizionale. Notava a suo tempo James Blish:

La tragedia per Anderson non riguarda cose comuni come la vecchiaia, la morte dell'amata, gli assassini o la guerra. Come fisico, Poul sa che il gradiente dell'entropia va inesorabilmente in una sola direzione ed egli non perde tempo in inutili lamentele.

L'entropia, la grandezza termodinamica che misura il disordine di un sistema chiuso, non può diminuire, ma solo aumentare. Ciò significa che l'energia totale dell'universo non può essere creata o distrutta, ma soltanto degradata in forme non più utilizzabili. Conseguenza di questa legge ineluttabile è che l'universo diventa sempre più disordinato man mano che l'entropia cresce. Non vi è modo di contrastare quest'orientamento termodinamico: si può soltanto spendere fatica, risorse ed energie per invertirlo localmente e temporaneamente.

Ecco il punto. La civiltà è, secondo Anderson, il risultato di un lavoro effettuato contro le leggi della termodinamica. Il caos è la norma, mentre l'ordine è la conseguenza di uno sforzo mirato di uomini e donne. Uno sforzo purtroppo condannato in partenza, perché prima o poi l'entropia ritornerà ad assumere il suo naturale orientamento e allora l'uomo soccomberà, le sue opere crolleranno, gli imperi diverranno polvere, e dov'era la civiltà torneranno le barbarie.

Alla fine Dio il Cacciatore colpisce ogni creatura e ogni cosa sia stata fatta dalle creature.

Così decretano gli ythriani in Stella mineraria e Il popolo del vento.

Il concetto di storia per Anderson è spengleriano: l'ascesa e lo sviluppo di un ordine sociale proseguono fintanto che la spinta è rivolta verso l'esterno; qualora il dinamismo cessa e la società si richiude in sé stessa, inizia la decadenza. Lo stesso Anderson ci mette in guardia nell'introduzione a La Spada Spezzata:

Senz'altro la civiltà del ventesimo secolo è lontana dalla grazia dell'Umanesimo, ma ha ancora molta strada da percorrere prima di toccare quel fondo che, Dio non voglia, potrebbe anche essere la norma, nella storia.

Dominic Flandry, l'eroe forse più tipicamente andersoniano, è un agente segreto del decadente impero terrestre, che domina su una sfera di duecento anni-luce. Gli anni in cui Flandy vive sono quelli che vedono il passaggio tra la fase del principato e quella del dominio: l'impero sta perdendo la sua legittimità, l'ordine sta virando verso la tirannia. Flandry sa perfettamente che l'impero è condannato: un giorno non lontano crollerà e nessuno potrà impedirlo, e insieme all'impero cadrà la civiltà e seguirà la Lunga Notte delle barbarie. Questa consapevolezza si traduce nel personaggio di Flandry in una spiccata indulgenza verso i piaceri della decadenza. Ma al di sotto della maschera di cinismo, Flandry è un idealista. Egli non lotta per salvare l'impero ma per preservare la civiltà quanto più a lungo possibile. Nei vari racconti del ciclo, Flandry agisce, seduce, tradisce e uccide, compiendo i peggiori misfatti per il più nobile degli ideali: ritardare l'inevitabile crollo della civiltà e allontanare il calare delle tenebre. Ma insieme egli deve fare i conti con la propria coscienza, vendendo la sua anima pezzo per pezzo.

Com'è noto, tempo fa Anderson scrisse una petizione affinché gli Stati Uniti proseguissero la guerra nel Vietnam finché tutti gli obiettivi militari non fossero stati raggiunti. Una presa di posizione fin troppo discutibile, ma comprensibile alla luce di quanto abbiamo detto riguardo all'idealismo andersoniano. Egli stesso, persona mite e riservata, non si è mai difeso dall'accusa (se accusa si tratta) di simpatizzare con la destra: tutto ciò che rispondeva era di andare a vedere qual era la realtà contro cui polemizzava. In realtà, da buon "conservatore libertario" (la definizione era sua), Anderson respingeva un po' tutte le ideologie in quanto tali, proprio perché vedeva in esse modelli cristallizzati di pensiero e per questo incapaci di una vera evoluzione.

Nel racconto Gli ultimi eroi, Anderson ci trasporta in un villaggio dell'Ohio dopo la fine della civiltà americana. Qui la vita trascorre serena in un'economia di sussistenza e la gente sembra interessata solo al piccolo mondo in cui vive. Ad un certo punto la serenità del villaggio viene sconvolta da due vecchi pazzi: lo zio Jim, il "repubblicano", nostalgico della vecchia America del capitalismo e dell'iniziativa privata, sempre pronto a parlare di produzione e di profitto, ed Henry Miller, il "compagno" dalle idee rivoluzionarie e collettivistiche. Il villaggio stenta a capire le idee dei due vecchi, che entrano in contrasto tra loro e finiscono con l'eliminarsi a vicenda. È chiaro che Anderson respinge entrambe le ideologie, perché modelli dogmatici e incancreniti di modi di vivere che non sono più applicabili nel nuovo mondo.

Dominic Flandry disprezza l'impero, stanco e decadente, ma non per questo egli cessa di combattere per preservarlo, perché l'alternativa è la fine della civiltà. La storia del futuro di Anderson è una spietata analisi dei meccanismi che, a poco a poco, inceppano il processo evolutivo di una civiltà e ne sanciscono la decadenza. Il declino inizia quando i governanti perdono la carica ideale e le cose proseguono per inerzia, delegittimandosi. Le ideologie che un tempo erano buone, col tempo si sclerotizzano, e i paesi illuminati trasformano gli antichi ideali in tirannia.

In alcuni racconti, Anderson traccia la storia della futura civiltà dei Maurai, la prima a risorgere dopo una devastante guerra atomica. Discendenti dei popoli polinesiani, i Maurai creano una tecnologia in perfetta armonia con l'ambiente, un'economia basata sul riciclaggio dei materiali e sulle risorse naturali, e ben presto riportano la civiltà nelle terre imbarbarite del Nord America. Anderson, grande appassionato di navi, si delizia (e ci delizia) nel descrivere i navigatori maurai attraversare gli oceani sui loro efficientissimi vascelli di legno e bambù, uomini e donne che collaborano in piena parità, con una morale sessuale libera ed aperta, e ci descrive la strana trinità su cui si fonda la loro religione: Tangaroa il creatore, Lesu Kristi il preservatore, Nan dai denti di squalo il distruttore. Tuttavia, col trascorrere dei secoli, i popoli della Terra scalpitano contro il modo di vivere che i Maurai hanno finito per imporre come un dogma, di fatto impedendo qualsiasi ulteriore evoluzione.

In un romanzo poco noto, Tempo verrà, il protagonista Jack Havig ha il dono di viaggiare nel tempo. E muovendosi avanti e indietro, dal passato più antico al futuro più lontano, è il perfetto testimone del funzionamento degli implacabili meccanismi della storia. Le lunghe conversazioni con un mercante bizantino dell'XI secolo o con un grande filosofo maurai di un remoto futuro, ribadiscono questi concetti. Le ideologie che vanno bene in un'epoca possono non andare bene in un'altra, e bisogna avere il coraggio di adattarsi, di cambiare, di mutar pelle. Così Carelo Keajimu analizza la propria futura civiltà:

Noi Maurai siamo diventi altezzosi. Peggio ancora, ipocriti. Ciò che una volta era bene l'abbiamo trasformato in un idolo, e così abbiamo lasciato che il bene rimasto marcisse. Con la pretesa di preservare la diversità culturale abbiamo cercato di congelare intere razze in forme che nella migliore delle ipotesi erano bizzarrie; nella peggiore, grotteschi e pericolosi anacronismi. Con la pretesa di preservare l'ecologia abbiamo cercato di inibire ogni attività che potesse aprire la strada per le stelle.

Il romanzo Orion risorgerà si colloca dopo questa fase, e descrive la resistenza dei popoli europei e americani contro il dominio mondiale dei Maurai. Alla fine del romanzo la protagonista lancia un appello accorato:

Uomini e donne di tutte le nazioni, di tutte le razze e condizioni, vi lascerete ancora a lungo manipolare? Quando andrete finalmente a dire ai vostri governanti basta? Quando andrete finalmente ad esigere il diritto di gestire le vostre vite?

L'impero è senz'altro preferibile alla Lunga Notte, ma Anderson non ha mai suggerito l'ideale di rimanere aggrappati a qualcosa escludendo il cambiamento. Infatti, alla fine, quando le cose diventano insostenibili, è preferibile raccogliere il proprio coraggio e passare oltre. La Lunga Notte spazzerà via l'impero terrestre, ma dopo cinquemila anni di barbarie si aprirà un nuovo ciclo storico: la Commonalty, che Anderson sfiora solo di sfuggita in un unico splendido racconto, Nebbia di Stelle.

Come aveva aggiunto Carelo Keajimu in Tempo verrà:

Sì, noi Maurai tendiamo a una fine. Morire è doloroso. Tuttavia i nostri predecessori sono stati saggi, nei loro limiti, a rappresentare Nan coeguale a Lesu. Una cosa che durasse per sempre sarebbe stata intollerabile. La morte apre una via.

Anche il protagonista di Orfeo Secondo, in un diverso contesto, annuncia un cambiamento epocale che metterà fine al vecchio sistema ormai inutile. E quando gli chiedono del caos che avrebbe inevitabilmente prodotto, risponde:

Anche quello è necessario. Non saremmo uomini senza la libertà di conoscere la sofferenza. E nella libertà c'è l'illuminazione. Così potremmo andare aldilà di noi stessi, aldilà della Terra e delle stelle, dello spazio e del tempo, fino al Mistero.

La violenza, per Anderson, o la guerra, se vogliamo, non è mai giusta, né è mai la scelta preferibile, ma può essere necessaria. Nel recente Meraviglia del mondo, il protagonista Manse Everard ha il coraggio di dire:

Sai che cosa c'è di osceno nella violenza che si vede al cinema e in televisione di questi tempi? I produttori ne ignorano il vero significato. Forse sono troppo stupidi, forse non hanno il fegato per immaginarlo. Ma a ogni omicidio è una vita, una mente, un intero mondo di conoscenze e di consapevolezza che viene spazzato via, per sempre.

Ma subito dopo Everard aggiunge:

Nonostante questo, avevo già ucciso prima d'ora, e probabilmente lo farò di nuovo.

Al perfetto contrario di tanti film televisivi in cui ci càpita di assistere, con attutita indifferenza, a una pioggia di morti ammazzati, Anderson è capace di farci commuovere per la sorte del singolo soldato. Il tempo del fuoco è un romanzo ambientato su un pianeta lontano, devastato da una terribile siccità: orde di barbari calano dal nord e i legionari sono chiamati a respingerli per proteggere la civiltà. L'autore tratta con uguale partecipazione il punto di vista dei barbari e quello dei difensori. La battaglia finale è descritta con realismo devastante: il capo dei barbari piange i figli caduti sul campo, mentre il generale dei legionari cade trafitto da una freccia e la realtà si fonde al suo sogno di morte: i soldati caduti di entrambi gli eserciti si rialzano, si uniscono e marciano insieme, cantando, verso il regno dei morti.

Qui vi è un'epicità voluta, di stampo palesemente vichingo (l'idea del viaggio verso la Valhöll). Ma Anderson è capace di dire le stesse cose con molta meno enfasi. Nel racconto La piaga dei padroni, capita che uno degli uomini di Flandry si faccia largo in un hangar abbattendo una sentinella, e, senza che la cosa sia necessaria alla trama, anzi, interrompendo per un attimo la narrazione, Anderson descrive Flandry lanciare di passaggio un'occhiata al ragazzo ucciso e riflettere come siano sempre le persone innocenti a soffrire. La scena è veloce e toccante. Poi Flandry riprende la fuga e la storia prosegue.

La virtù dell'eroe andersoniano è il coraggio di sacrificarsi per i propri ideali. Il prezzo può essere la vita, ma ancora di più, la propria anima. Nel racconto Pianeta fratello (1959), un'astronave scende su Venere, dove un popolo di esseri simili a delfini ha innalzato una civiltà protesa verso l'arte e la contemplazione. Ma Venere presenta anche inusitate risorse pronte ad essere sfruttate, e il protagonista si rende conto che prima o poi gli uomini arriveranno in massa su quel giovane pianeta e lo deprederanno per impossessarsi delle sue ricchezze. Così fa fallire la spedizione uccidendo i suoi compagni, dopodiché bombarda la splendida capitale dei Venusiani per istillare in quel popolo gentile l'eterno sospetto nei confronti dell'uomo. Le ultime parole del protagonista, prima di suicidarsi, sono:

Ti prego, Dio, esisti: crea un inferno per me.

Anderson non ha mai creduto al premio o al castigo ultraterreni: per lui la dannazione è un inferno etico, il doversi confrontare con la coscienza delle proprie scelte. Il fine giustifica i mezzi ma non ci alleggerisce dalla responsabilità di averli adottati.

Il tema del tradimento è costante in Poul, spesso compiuto per ideali condivisibili, come in Pianeta fratello, ma talora inconsapevolmente o per leggerezza, come Sir Rupert che abbandona la giovane Kathrin in Tempesta di mezza estate. Nel caso di Flandry, i suoi numerosi tradimenti avranno immani ripercussioni sul futuro dell'impero. Nella sua prima impresa spionistica, egli sventa il piano dei Merseiani di distruggere l'intera marina spaziale terrestre (e incidentalmente anche la promettente civiltà del pianeta Starkad), seducendo e quindi tradendo una giovane cortigiana, Persis d'Io, i cui sentimenti vengono calpestati da Flandry con giovanile disinvoltura.

Questa sua prima vittoria gli sarebbe tuttavia costata, molti anni più tardi, tutte le sue possibilità di essere felice. Il figlio avuto da Persis lo tradisce a sua volta in Cavaliere di spettri e d'ombre. Flandry viene raggirato attraverso Kossara, la giovane donna in cui egli aveva riposto le sue ultime speranze di una vita piena ed integra. Kossara muore, pedina inconsapevole di un gioco tanto più grande di lei, e Flandry è costretto a uccidere suo figlio per la salvezza dell'impero.

Nel bellissimo Il popolo del vento, il tentativo della civiltà mista del pianeta Avalon di sfuggire all'annessione da parte dell'impero, si compie contemporaneamente sul fronte militare come in quello delle anime. I suoi personaggi, umani e non, militari e scienziati, spie imperiali, donne, e soprattutto gli alati ythriani che s'innalzano tra i venti del cielo, s'intrecciano in un affresco corale di straordinaria suggestione. Questo romanzo è un susseguirsi di continui tradimenti, tanto che a un certo punto l'autore si sente in dovere di ricapitolarli...

Tradimenti, e ovviamente sacrifici.

Il tema del sacrificio assume particolare intensità soprattutto nei personaggi femminili. In un genere che per molti decenni è stato piuttosto maschilista, Anderson ha tratteggiato una galleria di personaggi femminili indimenticabili. Donne forti, fiere, dolci, a cui Poul affida istanze di rivolta e di riscatto, soprattutto attraverso la forza sublimante della sofferenza o di un amore capace di caricarsi di qualunque fardello. Barbro Cullen che penetra nel reame incantato per riprendersi il figlio che le fate le hanno rapito (Regina dell'aria e della notte); la dolce schiava Marin che per due volte tradisce, inconsapevolmente, l'uomo di cui è innamorata (Il ritorno dell'Explorer); la bella e colta Deirdre, il cui amore per Sandoval porta all'annullamento totale del suo mondo e quindi al perpetuo esilio in una terra a lei incomprensibile (Delenda est); Erissa, la sacerdotessa cretese, la cui storia d'amore con Duncan nasconde le ferite della violenza subita da Teseo e le dà la forza di sopravvivere al saccheggio di Cnosso (La danzatrice di Atlantide); Xenia Manasses, la fanciulla di Bisanzio, destinata ad essere travolta dalle atrocità della storia, ma il cui stupore di fronte alle opere perdute di Euripide è meravigliosamente condivisibile (Tempo verrà); la prostituta Djana, la cui ricerca di un misticismo cosmico è in realtà il diabolico piano con cui i merseiani fanno leva sulle ferite della sua anima per indurla ancora una volta a tradire l'impero (Scacchiera tra le stelle); Kathrin McCormac, che abbandona Flandry, di cui è innamorata, per seguire il suo sposo nel suo esilio lontano (Mondi ribelli); e soprattutto Eloise Waggoner, il cui sacrificio è quello di condividere l'agonia del suo amato per l'eternità (Kyrie). E tutte le donne che Flandry ha amato e fatto soffrire (Persis, Djana, Kathrin, Kossara...), che in qualche modo influenzano le sue scelte e, attraverso di lui, il corso della storia. Chi ha detto che per i propri ideali si debba combattere soltanto con la forza delle armi?

Mi capitò una volta, a una conferenza, di parlare di Anderson con alcuni signori della Società Tolkieniana. Questi erano d'accordo con me che Anderson si era posto in aperta critica con la società moderna perché incapace di tramandare i tesori della Tradizione, ma pretendevano da parte di Anderson un totale rifiuto della scienza e del progresso. Ne sortì una discussione piuttosto accesa e qualcuno mi consigliò, non molto garbatamente, di andarmi a rileggere Poul. L'ho fatto, e continuo a farlo, e continuo a non essere d'accordo. Tolkien guardava indietro, a una società rurale simile alla borghesia di campagna dei primi del '900, esemplificata nei suoi romanzi dalla semplice e allegra Contea degli Hobbit. Ma Anderson ha sempre guardato avanti: il progresso richiede il coraggio di sacrificarsi e soprattutto il fegato di assumersi le proprie responsabilità.

Ripenso soprattutto al racconto I pionieri (1972), che scoprii per caso in un'antologia ormai dimenticata. L'idea era di portare tra le stelle le menti registrate di un uomo e di una donna in modo che scegliessero i pianeti più promettenti per essere colonizzati. I prescelti, Joel e Korene, sono due scienziati un po' avanti con gli anni, ciascuno con una propria vita e una famiglia alle spalle, e sono un po' imbarazzati all'idea che le loro menti duplicate saranno destinate a viaggiare per millenni tra le stelle. Fa eco, subito dopo, l'omelia di un sacerdote, simbolo di una tradizione arroccata nelle sue secolari certezze, che, citando l'Ulisse di Dante, tuona contro l'hýbris umana, quell'orgoglio blasfemo che è causa di tutti i mali e di tutte le sofferenze, e si domanda perché mai si debbano spendere milioni di dollari in un'impresa di tale arroganza, mentre sulla Terra milioni di persone soffrono la fame?

Ma infine, secoli dopo, troviamo di nuovo Joel e Korene calcare il suolo di un mondo lontano anni-luce: hanno corpi giovani, reputano questo pianeta adatto per essere colonizzato, fanno progetti per l'avvenire, si amano con dolcezza e passione. Potrebbe essere uno splendido e giusto finale per la maggior parte degli scrittori, ma Anderson non ci offre nulla di tanto facile. Vuole toccare più a fondo il tema che gli sta a cuore. E così, ecco che d'un tratto qualcosa non va. Insorge una strana malattia, e Joel e Korene scoprono che un'importante proteina è assente nella biochimica del pianeta. Non c'è nulla da fare, e Joel e Korene sanno che dovranno morire. Alla disperazione prevale una speranza: la nave partirà di nuovo, raggiungerà altri mondi, e nuovi Joel e Korene scenderanno a colonizzarli. Entrambi nasceranno ancora e ancora nasceranno, su infiniti mondi, e ogni volta torneranno a vivere e ad amarsi, a soffrire e a morire, in un sacrificio senza fine che aprirà all'uomo la strada delle stelle.

Viaggiamo attraverso gli anni-luce e i secoli, una vita dopo l'altra, una morte dopo l'altra. [...]. Due negli spazi, due e due sui mondi, noi solo rimaniamo a ricordare coloro che vissero e coloro che morirono.

L'esistenza per Anderson è, per citare le parole di Sandra Miesel,

...uno schema senza nessuna meta trascendente, una candela nel buio, condannata ma bella.

L'unica risposta corretta, davanti all'inevitabile trionfo dell'entropia, è combattere quanto meglio e con più coraggio possibile. È lo stesso atteggiamento degli dèi nordici dinanzi al Ragnarök: essi sanno che quel giorno cadranno combattendo contro i giganti e che quel giorno il mondo finirà, ma non possono opporsi. L'unica cosa che possono fare è affrontare il loro destino con coraggio e a testa alta.

Non voglio morire tanto rapidamente da non accorgermene: voglio fare in modo che quella cosa stupida lotti per ogni singolo centimetro della mia pelle.

Così dice Flandry nella Bestia delle stelle. Ma più dolcemente, alla fine di una lunga conversazione sugli implacabili meccanismi che decretano il declino delle civiltà, Carelo Keajimu blandisce il pensieroso Havig:

Ma tu, povero vagabondo, devi pensare oltre il prossimo secolo. Su, per questa sera prova a conoscere la pace. Osserva le stelle che avanzano, aspira l'incenso, ascolta l'uccello che canta, sii tutt'uno col mondo.

Poul Anderson è rimasto lucido e cosciente fino alla fine, ascoltando i messaggi che i suoi colleghi scrittori, i suoi ammiratori e migliaia di lettori gli mandavano attraverso la rete. È morto sapendo quant'era apprezzato e amato.

Dieci anni fa terminai questo articolo con un patetico "Addio, Poul". Oggi posso permettermi di essere più lieve:

Arrivederci nei tuoi libri, Poul... o alla Taverna della Fenice.
E grazie!


La fotografia di Poul Anderson è di Roberto Quaglia (1999).

domenica 6 febbraio 2011

Nel segno del martello


La fantascienza è di sinistra, la fantasy di destra…

Come ribattere a questa affermazione? I romanzi fantasy sono tradizionalisti: ritornano a cercare le nostre radici mitologiche e leggendarie. I romanzi di fantascienza sono rivoluzionari: rompono con il presente e si lanciano a indagare le nostre possibilità future.
È un vecchio clichè a cui io stesso ho più volte aderito, quando cercavo di definire i due generi a colpi d'accetta.

La realtà tuttavia è assai più sfumata e spesso la maggior parte degli autori, dell'uno o dell'altro genere, non si lascia collocare così facilmente in un campo o nell'altro.
Infatti, Poul Anderson è uno scrittore di fantascienza, ma è di destra. E Michael Moorcock è un scrittore fantasy, ma è di sinistra.
Il ché non significa che un lettore, qualunque sia il suo schieramento politico, non possa apprezzarli entrambi per i loro meriti letterari…

E così Nel segno del martello non è soltanto un fantasy assai ben scritto, ingegnoso e originalissimo, ma è soprattutto un fantasy più a sinistra che a sinistra non si può.
Il suo autore, Giacomo Scalfari, che è dottore in lettere classiche, riesce a coniugare l'impegno politico con l'amore per la mitologia norrena e, non per nulla, si definisce RomantiComunista. E se credete che Scalfari avverta questa sua convergenza di passioni come contraddittoria, allora non avete capito nulla di lui.
Se volete conoscerlo meglio, potete andare al suo blog, La scarpa di Víðarr.

RomantiComunista è anche Carlo Tamburini, in arte Karlo, il protagonista di questo romanzo, giovane studente universitario con la passione dell'hard rock, che si trova a dover affrontare una missione per conto delle divinità nordiche: dovrà trovare l'Anti-Yggdrasill, il falso pilastro dell'universo, e abbatterlo per la salvezza dell'equilibrio cosmico.
E teatro di questo dramma non è un qualche remoto mondo fantasy, ma la città di Bologna, la cui topografia – con le dodici porte, l'intreccio di vie, le chiese, le torri – assume aspetti cosmologici, collegando tra loro (e dunque con noi) i Nove Mondi del mito norreno.
È dunque in un mondo quotidiano, ma allo stesso tempo sottilmente alterato, che Karlo cerca di portare avanti la sua missione, che è mitologica e ideologica insieme.
Il dio Thor, in jeans e motocicletta, lo sostiene sia dal punto di vista politico (gli dèi, se non lo sapete, sono impegnati nel Socialismo Cosmico), sia, se è il caso, a colpi di martello, arma quanto mai proletaria. Le vie di Bologna, i suoi pub, i suoi ritrovi studenteschi, si animano di battaglie contro giganti mascherati da attivisti di destra, troll cyberpunk ed elfi neri in giacca e cravatta.

Le forze del male assumono, in questa versione bolognese del Crepuscolo degli Dèi, i volti sinistri dei Poteri Forti che da sempre controllano la nostra politica e la nostra economia. Chiedersi se dietro l'Uomo con i Soldi, l'Uomo della Mafia o l'Uomo del Vaticano vi siano dei personaggi precisi è fuorviante: il romanzo di Scalfari non fa facile satira. Essi sono, e giustamente, dei puri archetipi, personaggi altrettanto mitologici delle divinità norrene.
Loki è ovviamente il loro principale alleato, mentre Odino – così come tanti politici che ben conosciamo – gioca le carte della Realpolitik, mai del tutto schierato da una parte o dall'altra.
I Vanir, da parte loro, seguono disegni segreti, e la bella Freda insegnerà a Karlo che la vita può celare misteri ancora più grandi e profondi...

Ma questo Ragnarök ha anche una data precisa, e a svelarla sarà la Völva, la mitica veggente, la quale chiede l'elemosina sotto i portici di Via del Carro: il 24 marzo del '94, giorno del comizio elettorale di Gianfranco Fini. E per vincere, Karlo dovrà riuscire davvero a mettere, e in senso non metaforico ma letterale, l'immaginazione al potere.
Non aggiungiamo altro, tranne che il romanzo corre alla velocità della luce verso un finale raffinatissimo e anti-epico, che ricorda il migliore Poul Anderson. Autore di destra, ma molto amato – a dispetto delle nostre idee politiche – da Scalfari e dal sottoscritto.

Ed. Montag, 2010.
€ 15.00

lunedì 24 gennaio 2011

Se Kant fosse ancora vivo...

Carissimi, intendiamoci subito. Kant non ha detto le cose più interessanti e risolutive dell'etica. Ci ha provato, ma è stato come un protozoo rispetto al resto dell'evoluzione sull'argomento.

Ora, resta da valutare quanto e come un protozoo può essere stato significativo per il nostro presente.
Il protozoo è una classe di interessantissime creature unicellulari, quali l'ameba e il paramecio. Questo nome − come coloro che conoscono il greco sanno − significa "primo animale".
Al momento noi ci troviamo a confronto con il risultato di una lunga catena evolutiva.
E Berlusconi è l'ultimo animale che questa catena ha prodotto.

Ultimo nel senso del più infimo.
Ma questo è quel che penso io, non voglio condizionarvi.
Anzi, per dimostrare la mia larghezza di vedute, vi propongo un gioco.
Un tantino difficile, ma ne vale la pena.
Vi propongo il link a un interessante articolo di Davide Giacalone, pubblicato nel Fan Club di Silvio:

TRE PROBLEMI DI ETICA

Se avrete il fegato di andare a leggerlo, potrete fare un esercizio mentale non da poco.
Poi, dopo aver pensato prima di parlare, cosa che il nostro presidente del consiglio scorda amabilmente di fare praticamente sempre, provate a cogliere le contraddizioni insite nell'articolo, all'apparenza tanto logico e sensato.
Vi assicuro che, se solo vi sforzate due minuti, le troverete tutte. E se per caso state divertendovi in altro modo (ma non scadetemi nel bunga bunga), sono ben pronta a spiegarvele una ad una!

E Kant? vi chiederete.

Oh, solo un suggerimento per capire come uscire da quell'articolo. Kant sosteneva che c'è una sola legge morale: mai trattare le persone come mezzi, ma sempre come fini.
Non nel senso di Fini politico. Nel senso di rispettarle ed avere, nei loro confronti, un senso di "amore" e "condivisione" che dovrebbe sorgere spontaneo tra appartenenti allo stesso pianeta.
Kant, se fosse ancora vivo, andrebbe da Berlusconi e lo mangerebbe vivo. A parole. Ma le parole sono la trappola con cui Berlusconi ci sta infinocchiando.
Da troppo tempo. Vi prego, non credetegli più!

Ho detto tutto, ho detto troppo.
Non siate struzzi e scrivete quel che pensate!