domenica 6 febbraio 2011

Nel segno del martello


La fantascienza è di sinistra, la fantasy di destra…

Come ribattere a questa affermazione? I romanzi fantasy sono tradizionalisti: ritornano a cercare le nostre radici mitologiche e leggendarie. I romanzi di fantascienza sono rivoluzionari: rompono con il presente e si lanciano a indagare le nostre possibilità future.
È un vecchio clichè a cui io stesso ho più volte aderito, quando cercavo di definire i due generi a colpi d'accetta.

La realtà tuttavia è assai più sfumata e spesso la maggior parte degli autori, dell'uno o dell'altro genere, non si lascia collocare così facilmente in un campo o nell'altro.
Infatti, Poul Anderson è uno scrittore di fantascienza, ma è di destra. E Michael Moorcock è un scrittore fantasy, ma è di sinistra.
Il ché non significa che un lettore, qualunque sia il suo schieramento politico, non possa apprezzarli entrambi per i loro meriti letterari…

E così Nel segno del martello non è soltanto un fantasy assai ben scritto, ingegnoso e originalissimo, ma è soprattutto un fantasy più a sinistra che a sinistra non si può.
Il suo autore, Giacomo Scalfari, che è dottore in lettere classiche, riesce a coniugare l'impegno politico con l'amore per la mitologia norrena e, non per nulla, si definisce RomantiComunista. E se credete che Scalfari avverta questa sua convergenza di passioni come contraddittoria, allora non avete capito nulla di lui.
Se volete conoscerlo meglio, potete andare al suo blog, La scarpa di Víðarr.

RomantiComunista è anche Carlo Tamburini, in arte Karlo, il protagonista di questo romanzo, giovane studente universitario con la passione dell'hard rock, che si trova a dover affrontare una missione per conto delle divinità nordiche: dovrà trovare l'Anti-Yggdrasill, il falso pilastro dell'universo, e abbatterlo per la salvezza dell'equilibrio cosmico.
E teatro di questo dramma non è un qualche remoto mondo fantasy, ma la città di Bologna, la cui topografia – con le dodici porte, l'intreccio di vie, le chiese, le torri – assume aspetti cosmologici, collegando tra loro (e dunque con noi) i Nove Mondi del mito norreno.
È dunque in un mondo quotidiano, ma allo stesso tempo sottilmente alterato, che Karlo cerca di portare avanti la sua missione, che è mitologica e ideologica insieme.
Il dio Thor, in jeans e motocicletta, lo sostiene sia dal punto di vista politico (gli dèi, se non lo sapete, sono impegnati nel Socialismo Cosmico), sia, se è il caso, a colpi di martello, arma quanto mai proletaria. Le vie di Bologna, i suoi pub, i suoi ritrovi studenteschi, si animano di battaglie contro giganti mascherati da attivisti di destra, troll cyberpunk ed elfi neri in giacca e cravatta.

Le forze del male assumono, in questa versione bolognese del Crepuscolo degli Dèi, i volti sinistri dei Poteri Forti che da sempre controllano la nostra politica e la nostra economia. Chiedersi se dietro l'Uomo con i Soldi, l'Uomo della Mafia o l'Uomo del Vaticano vi siano dei personaggi precisi è fuorviante: il romanzo di Scalfari non fa facile satira. Essi sono, e giustamente, dei puri archetipi, personaggi altrettanto mitologici delle divinità norrene.
Loki è ovviamente il loro principale alleato, mentre Odino – così come tanti politici che ben conosciamo – gioca le carte della Realpolitik, mai del tutto schierato da una parte o dall'altra.
I Vanir, da parte loro, seguono disegni segreti, e la bella Freda insegnerà a Karlo che la vita può celare misteri ancora più grandi e profondi...

Ma questo Ragnarök ha anche una data precisa, e a svelarla sarà la Völva, la mitica veggente, la quale chiede l'elemosina sotto i portici di Via del Carro: il 24 marzo del '94, giorno del comizio elettorale di Gianfranco Fini. E per vincere, Karlo dovrà riuscire davvero a mettere, e in senso non metaforico ma letterale, l'immaginazione al potere.
Non aggiungiamo altro, tranne che il romanzo corre alla velocità della luce verso un finale raffinatissimo e anti-epico, che ricorda il migliore Poul Anderson. Autore di destra, ma molto amato – a dispetto delle nostre idee politiche – da Scalfari e dal sottoscritto.

Ed. Montag, 2010.
€ 15.00

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Dario, sono Giacomo. E' davvero una bellissima recensione, grazie!
Una domanda: non sapevo che Poul Anderson fosse apertamente "di destra". Su di lui ho letto un saggio letterario di Adolfo Morganti (critico letterario di destra) intitolato "Poul Anderson: tecnocrate e bardo" che in effetti mette in luce alcuni aspetti della sua opera riconducibili a una visione conservatrice... ma mescolati ad altri che invece fanno pensare a un punto di vista differente. C'è qualche sua opera o intervista che chiarisce meglio la sua "visione del mondo"?
Grazie Dario, a presto!

Dario Giansanti ha detto...

Ciao Giacomo.
Premesso che è senz'altro riduttivo mettere etichette così semplicistiche a un autore versatile come Anderson, nella sua opera non vi sono mai prese di posizione "fasciste". Anzi, qua e là affiora in Poul una vena rivoluzionaria. Di certo, non ha fatto mai mistero della necessità di abbattere i regimi incancreniti. E allo stesso tempo ha scritto racconti che prendono le distanze da tutte le ideologie ("Gli ultimi eroi")
Anderson si definiva un "conservatore libertario" e - come nota anche Morganti - si lamentava che buona parte della letteratura fantastica avesse perduto il senso della tradizione.
Nelle opere degli anni Cinquanta e Sessanta è molto critico nei confronti dell'Urss e della Cina, a cui preferiva nettamente il modello americano. E tra l'altro fu uno dei firmatari di una petizione con la quale si chiedeva al governo Usa di portare avanti la guerra in Vietnam fino al raggiungimento di tutti gli obbiettivi militari previsti (lo afferma Asimov in una sua introduzione, e aggiunge che lui firmò la richiesta opposta).
Un romanzo emblematico per la sua posizione politica mi sembra "Il vagabondo delle stelle", dove il primo tentativo di comunicazione con una mente aliena gli serve per dare l'avvio a uno scontro ideologico in cui Anderson non risparmia strali a nessuno, pur essendo particolarmente duro con i socialisti (cinesi). La via "ideologica" che egli indica, tuttavia, è quella dell'arte...

Dario Giansanti ha detto...

Nell'introduzione di Giuseppe Caimmi al "Massimo" dedicato ad Anderson, è scritto che, a chi lo accusava di conservatorismo, Anderson consigliava di andare a vedere qual era la realtà contro cui intendeva polemizzare. E scriveva:

"Il concetto di libertà individuale e di un governo limitato nei suoi poteri è stato un grande ritrovato. non è detto che funzioni per tutte le culture, ma per buona parte dell'Europa occidentale è definitivamente provato essere il sistema più produttivo e che ha dato maggiori opportunità per realizzare i propri potenziali o semplicemente per rendere più felice la propria vita. Per questo sono così colpito dal fatto che i muri si stanno alzando attorno a noi. io sento che il concetto di libertà, che fu inventato dal XVIII secolo dai Padri Fondatori, sta perdendo incisività e interesse agli occhi della gente. E non penso che credere questo sia necessariamente reazionario".

Anonimo ha detto...

Grazie Dario, molto interessante. Aggiungo che una critica profonda all'Urss e alla Cina (di ieri e di oggi) è possibile farla anche da sinistra, a partire da una critica al totalitarsimo in tutte le sue vesti. E su questo sono perfettamente d'accordo con Poul!

Dario Giansanti ha detto...

Be', oggi siamo un po' più smaliziati, ma immagino che il punto di vista, ai tempi della Guerra Fredda, fosse un po' più radicale. Da buon progressista, Asimov era contrario alla guerra del Vietnam, per quanto non era certamente un comunista. Anderson sembra essere anti-comunista, per quanto era più probabilmente contro tutte le dittature. In uno dei suoi ultimi libri, Poul parla del nazismo come di un "male assoluto".
Alla fine, forse, è da rivedere il preconcetto che un amante della tradizione debba essere anche di destra. Guarda un po' noi... ^^

Anonimo ha detto...

Giustissimo, basta che la tradizione sia quella con la "t" minuscola, quella mutevole, interpretabile... ^_^

Dario Giansanti ha detto...

Perché, in italiano c'è un altro modo di scrivere "tradizione?" ^_^